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La psicoterapia familiare

La psicoterapia familiare, un percorso di crescita

Che cos’è una psicoterapia familiare

Da decenni ormai non si parla più di famiglia ma di famiglie: il nucleo bigenitoriale con figli è la configurazione dominante ma sempre più massicciamente si affacciano sulla scena sociale famiglie assai lontane dal modello classico. Famiglie separate, ricomposte, ricostituite, monogenitoriali, arcobaleno, formate da coppie miste (partner di diversa cittadinanza) e tutte le eventuali combinazioni tra queste. A differenza delle terapia individuale o di coppia, quella familiare si caratterizza per l’estrema flessibilità e adattabilità alla situazione che quello specifico gruppo familiare vive in quel momento. Flessibilità e adattabilità che caratterizzano tutto il percorso terapeutico: se generalmente durante le prime sedute il terapeuta tende a vedere tutto il sistema famiglia nel suo insieme, nel corso del tempo può decidere di convocare un sottosistema alla volta: solo i genitori, solo i fratelli, genitore, nuovo partner e figli nel caso di famiglie separate, genitori e nonni, solo per fare qualche esempio di quanto lo strumento della terapia familiare possa davvero essere una sartoria in cui si cuce insieme un vestito su misura.

Psicoterapia familiare, la prima richiesta di aiuto

Di solito, le famiglie arrivano a consultazione per via del malessere di un figlio che può esprimersi in comportamenti molto diversi tra loro: isolamento, dipendenze, difficoltà con il cibo, il sonno, aggressività verso se stessi o verso gli altri all’interno e/o all’esterno del nucleo familiare, importanti problemi scolastici o di socializzazione, sintomi ansiosi come tic, balbuzie, fobie, ecc…

Il pensiero che nella mia formazione mi ha spinto a interessarmi alle famiglie e ai modi in cui poterle aiutare è riassunto nella frase di Salvador Minuchin, uno dei primi e tra i più grandi familiaristi: “Il problema di un figlio è sempre un problema familiare.

Mi piace pensare che la famiglia sia la migliore medicina per i bambini” e per gli adolescenti, aggiungerei.

La famiglia come risorsa vivente

Pensando alla famiglia, la parola che più mi viene in mente è “risorsa”. Svolgendo una professione il cui strumento principale sono le parole, ne ho sviluppato un amore profondo. Il dizionario definisce così la risorsa: “Qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specialmente in situazione di necessità”. Etimologicamente viene dal francese ressourse che lo ha mutuato dal latino resurgĕre ovvero risorgere. Ho iniziato a interrogarmi sul cosa e come le risorse possano avere a che fare con il risorgere. La mia ipotesi è che il significato più profondo della parola risorsa si riferisca a quelle ricchezze, sepolte, seppellite sotto terra, apparentemente morte che tornano a nuova vita, alla luce quando vengono scoperte o riscoperte: questo accade con i minerali preziosi, il carbone, il petrolio, l’acqua. Forse non a caso l’acqua di sorgente viene anche chiamata “acqua sorgiva”.

La famiglia è potenzialmente una risorsa, qualcosa di estremante prezioso. E il percorso di terapia familiare è proprio quel processo che può far risorgere ciò che di pregiato, unico e raro c’è in ciascun membro e nella famiglia nel suo insieme come organismo vivente.

Le due parti complementari del percorso di psicoterapia familiare

Normalmente, in una percorso familiare un po’ come in tutti i processi terapeutici, ci sono sempre due parti complementari e per lo più sincroniche: la pars destruens, in cui qualcosa viene distrutto e una pars costruens, in cui qualcosa viene costruito, prende il posto e/o è frutto dell’elaborazione di quello che, conosciuto e ritenuto poco proficuo per tutti, è stato lasciato indietro.

Affinché ci possa essere una resurrezione, occorre che prima ci sia una morte, la pars destruens a cui si faceva cenno. Morte di cosa? Morte dei modelli comunicativi e interattivi. Ovvero del modo in cui si parla se ci si parla, del modo in cui si ci ascolta se ci si ascolta, del come si discute e litiga, se si discute e litiga. Morte delle modalità relazionali ovvero di come le persone in genere si mettono in rapporto tra loro: c’è sempre uno che decide? C’è sempre uno che si appoggia all’altro? Ci sono due membri sempre alleati contro uno o gli altri? Morte dei confini familiari -ovvero chi sa e partecipa a cosa- troppo rigidi o troppo labili. Morte dei “segreti di Pulcinella” per cui tutti fanno finta di non sapere qualcosa che, consapevolmente o inconsapevolmente, tutti sanno e che di solito i figli, nonostante il silenzio dei grandi, conoscono e spesso, proprio in terapia familiare, svelano rompendo il potere mortifero del segreto.

Come funziona la psicoterapia familiare

Contestualmente e conseguenzialmente, occorre lavorare a quella che abbiamo chiamato la pars costruens in cui la famiglia stessa potrà, sostenuta dal professionista, elaborare in modo autonomo e creativo le proprie nuove modalità comunicative e interattive, modelli relazionali originali, stabilire confini chiari ma permeabili, codificare inedite regole per stare insieme, mutare lo sguardo con cui ogni componente guarda, pensa e sente se stesso e i familiari ma soprattutto sviluppare la capacità di risolvere le questioni problematiche da sola, non dovendosi appellare di nuovo a qualcuno di esterno a se stessa, ma usando gli strumenti costruiti, rispolverati o affinati durante la terapia.

Così come certe condizioni hanno facilitato lo sviluppo di un malessere che è di uno ma che coinvolge tutta la famiglia, così cambiando quelle condizioni quella problematicità può scomparire. Così come il nucleo familiare può essere stato il luogo fisico e psicologico in cui la sofferenza, il dolore si è espresso in uno dei suoi membri, nello stesso modo può essere il luogo della sua risoluzione, della sua resurrezione. Credo fortemente che le famiglie abbiano il potere di cambiare le cose, se lo vogliono e se concedono a se stessi di farsi aiutare nel doloroso ma risolutivo e necessario processo di cambiamento.

Il ruolo dello psicoterapeuta familiare

Spesso le famiglie e soprattutto i genitori giungono nei nostri studi con la richiesta di far cambiare, di “aggiustare” il membro che sta male. Il terapeuta familiare può aiutare tutti, e soprattutto i genitori, a capire come essi stessi possano risolvere le criticità della loro famiglia scoprendo, attivando o riattivando le risorse individuali e comuni. L’assunto che sta alla base di questo modo di lavorare è che famiglia e terapeuta siano portatori di saperi diversi ma equi per importanza e complementari. Devono poter essere integrati in quello che Angelo e Andolfi chiamano “il terzo pianeta” (2012) e che, se famiglia e professionista riescono a co-costruire, è l’elemento terapeutico dell’incontro tra le due parti in gioco nella stanza di terapia. I membri di una famiglia si conoscono reciprocamente meglio di chiunque altro: essi hanno un sapere, una conoscenza e delle competenze che il professionista non può avere ma che potrebbero essere usati in modo più adattivo per tutti. Lo psicoterapeuta può aiutare e sostenere genitori, figli e fratelli a scoprire come utilizzare al meglio ciò che la famiglia sa di se stessa e ad ampliare questa conoscenza.

La famiglia, una casa a tre piani dove abiteranno le generazioni future

In letteratura è molto diffusa la metafora della famiglia come una casa a più piani. A me piace pensare alla terapia familiare come alla ristrutturazione di quella casa: i muri portanti rimarranno in piedi, alcuni spazi non più funzionali andranno rivisti perché le esigenze di chi abita la casa sono cambiate, alcuni muri andranno abbattuti, tramezzi eretti, forse occorrerà una scala interna o esterna o forse basterà togliere la carta da parati, cambiare la disposizione dei mobili e aggiungere qualche quadro. Ecco, lo psicoterapeuta è l’architetto con cui elaborare la co-progettazione di come tutti potranno stare meglio in quella che sarà sempre la loro casa.

Se i genitori mancano il compito di affrontare con forza e determinazione il malessere incarnato da un componente ma che parla del malessere di tutti, vale a dire se le dinamiche all’interno di quel nucleo familiare non cambiano, potrebbe verificarsi ciò che è definita la trasmissione transgenerazionale della sofferenza: quelle dinamiche non idonee al libero sviluppo di tutti i membri della famiglia potrebbero riversarsi sulle generazioni successive. L’intervento familiare non ha quindi solo una funzione terapeutica, di cura delle relazioni attuali, ma anche di prevenzione e promozione della salute delle generazioni future.

Bibliografia
  • Andolfi, M., Angelo, C. (2012). Il sistema terapeutico ovvero il terzo pianeta. Terapia Familiare, pp. 135-158.
  • Andolfi, M. (a cura di). (2013). Le parole dei maestri. Per riscoprire la lezione dei grandi della terapia familiare. Milano: Franco Angeli.
  • Minuchin, S. (1977). Famiglie e terapia della famiglia. Roma: Astrolabio.

Dott.ssa Mariangela Fiorelli
Psicologa Psicoterapeuta a Caserta (CE)

Dott.ssa Mariangela Fiorelli

Psicologa Psicoterapeuta

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